Cappella Bentivoglio La Fiera Medaglie Annulli Ricami Murrine

  • La Cappella Bentivoglio in San Giacomo Maggiore
    La committenza
    L’architettura
    Le pitture
    Il pavimento
    Le iscrizioni
    Note


ALBERO GENALOGICO BENTIVOGLIO
RAMO CAPI DEL GOVERNO A BOLOGNA
(secoli XIV-XVI)

Ivano
(muore nel 1323)
Bartolomeo
(muore circa nel 1340)
Francesco
sposa Francesca Manzoli
Bertuccio
sposa Elena Malvezzi
Antoniolo
sposa Zanna Maranensi
Giovanni I (muore nel 1402)
sposa Elisabetta da Castel San Pietro
vedovo, sposa Margherita Guidotti
Dal primogenito, Ercole discende Sante (muore nel 1463), figlio naturale allevato a Firenze dai Medici. Dal matrimonio di Sante con Ginevra Sforza nascono Ercole e Costanza, nel 1473 sposa di Pico della Mirandola.
La figlia di Giovanni I, Giovanna, sposa Gaspare Malvezzi, e genera 12 figli.
Da Antongaleazzo (muore nel 1435) e Francesca Gozzadini nascono Isabella, sposa di Romeo Pepoli;
Costanza (muore nel 1483), nel 1450 sposa di Gerardo Bevilacqua;
Annibale I, figlio naturale (muore nel 1445), nel 1441 sposa Donnina Visconti.
Da loro nascono Antonia e Giovanni II (1443-1508), che nel 1464 sposa Ginevra Sforza, vedova di Sante.
Figli di Giovanni II Bentivoglio e Ginevra Sforza:
Bianca, nel 1481 sposa Nicolò Rangoni di Spilamberto
Francesca (muore nel 1504), nel 1481 sposa Galeotto Manfredi di Faenza; vedova, nel 1494 sposa Guido Torelli.
Annibale II (1469-1540): nel 1487 sposa Lucrezia D’Este.
Eleonora: nel 1486 sposa Giberto Pio di Carpi.
Camilla diventa monaca nel Convento del Corpus Domini.
Antongaleazzo (1472-1525) diventa protonotario apostolico.
Violante: nel 1489 sposa Pandolfo Malatesta.
Alessandro (muore nel 1533): nel 1492 sposa Ippolita Sforza.
Isotta: entra monaca nel Convento del Corpus Domini.
Ermes (1482-1513): nel 1504 sposa Jacopa Orsini.

fonti: C.Ady, I Bentivoglio, trad.it.L.Chiappini, Varese 1967
P.Litta, Famiglie celebri italiane, Milano 1819, vol.I, tavv.II, III, V



La Cappella Bentivoglio in San Giacomo Maggiore
LA COMMITTENZA


Coloro che a Bologna esercitano attività economiche, dalla seconda metà del XI secolo si organizzano in corporazioni, dette Società delle Arti.
Dall’inizio del XIII secolo, esse diventano il modello per altre associazioni, dette Società delle Armi: le quali, senza esercitare attività produttive, collaborano con le autorità per mantenere l’ordine pubblico.
Nel 1256 l’istituzione dell’Ufficio di Capitano del Popolo, destinato ad affiancare il Podestà, è un segno della vittoria delle Società sull’antica aristocrazia.
Conseguenza dell’affermazione popolare saranno le disposizioni antimagnatizie, con le quali verrà favorita l’ascesa politica dei membri delle Società principali (1).

Ogni Società tiene una Matricola, cioè un elenco aggiornato, dei propri iscritti, specificandone il quartiere d’appartenenza - di Porta San Pietro, Porta Ravegnana, Porta Stiera e Porta San Procolo - e la cappella parrocchiale(2): Ivano Bentivoglio, residente presso la cappella di Santa Cecilia, nel quartiere di Porta San Pietro, viene ascritto nel 1283 nella matricola della Società dei Notai (3).
La registrazione, oltre ad abilitarlo alla professione di notaio, lo ammette nell’unico ceto che si prefigga la tutela del diritto civile, e che sia organizzato all’interno del Comune; tutte le altre società si strutturano in modo autonomo, depositando presso il Capitano del Popolo le loro matricole.
Nella seconda metà del XIII secolo inoltre, la Società dei Notai sostituisce la Società del Cambio e della Mercanzia, nel rappresentare la parte popolare (4).
Ivano ricompare nel 1294 nella matricola dei notai, insieme al nipote Francesco, e a Petriolo Bentivoglio, pure residente presso Santa Cecilia (5).
Sempre nel 1294 Ivano viene ascritto in un’altra matricola preminente: quella dei beccai, unica “pro armis et arte”, privilegio acquisito durante le rivendicazioni popolari del 1256 (6).
Altri Bentivoglio di Santa cecilia sono beccai nel 1294: Niccolò, Cimino, Albertinello, Bentivoglio e Michele. Il Litta identifica solo in Ivano e Francesco gli avi dei futuri reggitori del governo cittadino. Francesca Bocchi rileva l’importanza dell’attività politica per l’ascesa sociale (7), e vede anche l’iscrizione di Ivano ad entrambe le società emergenti come un segno del suo impegno politico.

Antoniolo Bentivoglio, ascritto al notariato nel 1350, è molto attivo durante la signoria di Giovanni da Oleggio; dopo la cessione di Bologna alla Chiesa (8) vincola parte del patrimonio familiare al luogo di residenza, tendenza condivisa dai membri della famiglia.
Nel suo testamento, stilato il 23.X.1374 dal notaio Giacomo di Antonio Vanuzio, Antoniolo dispone che le sue case confinanti con quelle degli eredi di Filippo Bentivoglio e di Francesco Vanini Bentivoglio, restino proprietà inalienabile della famiglia, trasmessibili per linea maschile.Deposita l’atto con i sigilli presso la sagrestia del convento eremitano agostiniano di San Giacomo Maggiore, oltre a un lascito per mille Messe in sua memoria (9).

Dei quattro figli di Antoniolo, Giovanni divenne nel 1401 capo della repubblica bolognese, in seguito a violenti disordini tra le fazioni dei Gozzadini, degli Zambeccari, dei Maltraversi e dei Bentivoglio - risoltesi con l’occupazione bentivolesca del palazzo pubblico-.
Continuarono gli scontri fino al giugno 1402 quando, sconfitte le milizie bentivolesche e gli alleati fiorentini e padovani, Alberigo da Barbiano, condottiero del duca di Milano Giangaleazzo Visconti, entra in città. Giovanni I viene ucciso e smembrato; Bologna, proclamata signoria viscontea, tornerà alla Chiesa pochi mesi dopo, alla morte del duca (10).

Antongaleazzo Bentivoglio, figlio di Giovanni I, compare nel 1416 tra i Sedici Riformatori dello Stato di Libertà, magistratura istituita nel 1410 dalla cittadinanza, dopo aver cacciato il Legato Pontificio, Cardinale Baldassarre Cossa.
Dopo aver militato come condottiero per Firenze, ed essere stato governatore pontificio, Antongaleazzo rientra a Bologna il 4 dicembre 1435, come commissario pontificio: viene decapitato diciannove giorni dopo, in un agguato, all’uscita da una messa officiatanell’appartamento del Legato (11).

Annibale I, nato da una donna, amante sia di Gaspare Malvezzi che del di lui cugino Antongaleazzo Bentivoglio, assume il cognome del secondo, per un accordo tra i cugini. Condottiero per Ranieri D’Anjou nel napoletano, torna a bologna nel 1438: viene chiamato per governare come primo cittadino, affiancato da un consiglio, una “balia”, bentivolesca.
Protetto all’esterno dal Duca di Milano Filippo Maria Visconti, il 7 maggio 1441 ne sposa una nipote: Donnina, figlia di Lancillotto Visconti (12).
Nel 1445 acquista il privilegio del patronato su di una cappella (13) dedicata agli Apostoli Giovanni e Andrea, nel deambulatorio absidale della chiesa di san giacomo Maggiore (14).
Nel giugno dello stesso anno Annibale I viene ucciso in un agguato, lasciando la città dilaniata in tumulti tra fazioni rivali; e, in famiglia, Donnina Visconti con i figli Antonia e Giovanni (15).

Ludovico Bentivoglio, già membro della balia che coadiuvò Annibale I nel governo, rifiuta di essere il nuovo capo della fazione: perciò, viene chiamato da Firenze Sante, figlio di Ercole, fratello più giovane di Antongaleazzo. Il giovane, cresciuto in Toscana, viene consigliato dagli uomini più ilnfluenti di Firenze: Neri Capponi e Cosimo Dè Medici, d’accordo con Ser Cola da Arezzo. Quest’ultimo, già segretario di Antongaleazzo durante un soggiorno fiorentino, diventerà poi, a Bologna, segretario di Annibale I, di Sante, ed infine di Giovanni II.
Sante governerà Bologna per diciassette anni: sarà membro del Consiglio dei Sedici, capo della fazione bentivolesca, e tutore del figlio di Annibale I e Donnina: Giovanni.
Tommaso Parentucelli di Sarzana - Vescovo di Bologna nel 1444, Cardinale nel 1446, Pontefice nel 1447 col nome di Niccolò V - favorisce l’assestamento interno bolognese (17).
Le basi del governo bentivolesco sono poste con la definizione dei rapporti tra la città - seconda a Roma, nello Stato della chiesa - e la Santa Sede.
L’accordo viene raggiunto il 24 agosto 1447, con l’approvazione dei “Capitoli di Niccolò V”: la cittadinanza riconosce la protezione della Chiesa, e accetta che un Legato Pontificio concorra alle deliberazioni ufficiali; il Pontefice riconosce, per le questioni interne, l’autorità dei Sedici, degli Anziani, dei Confalonieri, dei Massari, ed accetta un ambasciatore bolognese a Roma (18).
Ipontefici successivi accetteranno questa forma di governo misto:Sisto IV della Rovere, nel 1473, trasformerà le cariche dei Sedici da elettive in ereditarie, forse nel tentativo di creare malcontento nelle grandi famiglie escluse (19).
Giulio II della Rovere, nel 1506, porrà termine alla magistratura dei Sedici, sostituendola con quella dei Quaranta Consiglieri, e bandirà la famiglia Bentivoglio da Bologna (20).

Un successo della politica di Sante, dimostrazione dei suoi ottimi rapporti con Francesco Sforza, sono le nozze con Ginevra, figlia illegittima di Alessandro Sforza, signore di Pesaro: la cerimonia avviene il 19 maggio 1454 in San Giacomo (21), sulla base di un contratto stipulato nel palazzo sforzesco di Pesaro, l’8 marzo 1452 (22).

Morto Sante nel 1463, gli succede il figlio di Annibale I, Giovanni II: il quale, nel maggio 1464, sposerà la vedova del prozio, Ginevra Sforza (23).

Giovanni II prosegue i lavori al Palazzo Grande, iniziato da Sante nel 1460 accanto alla Casa Vecchia di Annibale I, di fronte a San Giacomo (24). Negli oltre quarant’anni di governo, dal 1464 al 1506, Giovanni II e Ginevra tendono a rafforzare la famiglia, assicurandole privilegi come l’ereditarietà degli introiti per l’esazione dei dazi delle Carteselle, delle moline, delle mercanzie; oltre alla riscossione di percentuali sull’esercizio della tesoreria cittadina e sul sale; alla confisca dei beni degli esiliati, ed alle condotte militari per la Lega Italica (25).

Le volontà testamentarie di Giovanni II confermano la fiducia nei religiosi eremitani agostiniani, in presenza dei quali testifica, ed ai quali affida atti sigillati: assegnate rendite annue ai figli maschi sposati, ricordati i beni dotali delle nuore, lascia a Ginevra Sfrza l’usufrutto della Casa Grande in strà San Donato, e del Palazzo di Bentivoglio, posto fuori città, a Ponte Poledrano, vietandone qualsiasi divisione o alienazione. Riguardo le altre proprietà non pone simili condizioni; nel caso delle terre novaresi ereditate da Donnina, ma occupate dai francesi, spera in una futura riconquista.
Il testatore proibisce esequie fastose: dispone che il funerale avvenga di notte, e che il suo corpo venga deposto nella chiesa di San Giacomo, nella medesima sepoltura del nonno Antongaleazzo, del padre Annibale I, della madre Donnina, della sorella Antonia, dei figli e di Ercole Bentivoglio. Lascia Ginevra libera di scegliere dove essere sepolta.
Affermata la segretezza del documento, se ne attesta la redazione nella Casa Grande di Giovanni II: nella camera al piano terreno, vicino all’ingresso posteriore, di fronte alla camera dove era solito mangiare, con i figli.
L’atto viene redatto in presenza del Priore del convento di San Giacomo, dell’Ordine Eremitano di Sant’Agostino; di un frate dello stesso convento; di due eremitani dell’Osservanza della Congregazione di Lombardia, residenti presso Santa Maria della Misericordia; di un frate ferrarese dei Francescani Minori dell’Osservanza, guardiano del monastero della Santissima Annunziata; di un frate di Bruxelles, dei Minori di San Paolo in Monte.
Il notaio bolognese Tomaso Grengoli sottoscrive l’apposizione dei sigilli, e depone il testamento in una casssetta di ferro, nella sagrestia di San Giacomo, in presenza di un altro notaio bolognese,e di due segretari di Giovanni II (26).
Queste disposizioni decadono nel 1506, quando Giulio II esilia la famiglia e la scomunica (27).
Ginevra muore nel maggio 1507 nel castello dei Pallavicino a Busseto, presso Parma; Giovanni II muore nel febbraio 1508, a Milano (28).

Nel 1513, Papa Leone X reintegra la famiglia, e nel 1514 i figli di Ginevra e Giovanni II tornano in possesso dell’eredità bolognese; eccetto i benefici ecclesiastici e i beni già appartenuti ai Malvezzi ed ai Marescotti, derivati da confische (29).
In una nota, nei libri del Fondo Bentivoglio, all’Archivio di Stato di Ferrara, si ricordano alcune lettere scritte nel 1599 dai Bentivoglio al Priore di San Giacomo Maggiore: con esse, la famiglia s’impegna a dare alla Sagrestia di quella chiesa 80 soldi bolognesi, per celebrare una messa al giorno all’altare di san Giovanni Battista, nella Cappella, e recitare un’orazione funebre in suffrago delle anime del Purgatorio.
Dichiarato quest’obbligo valevole anche per il futuro, i Bentivoglio chiedono di venire iscritti alla Matricola della Sagrestia, perchè si abbia quotidiana memoria della reciproca obbligazione (30).



L’ARCHITETTURA


Le prime notizie, riguardanti un altare posto dietro l’Altare Maggiore, nel deambulatorio absidale di San Giacomo, risalgono al testamento stipulato il 12 ottobre 1399 dal notaio Giovanni di Bonifacio Castagnoli, per Andrea di Bertolino Fagnani. Il Fagnani lascia i suoi beni in dote all’altare di Sant’Andrea, destinando 500 lire perchè vi si costruisca, in caso non fosse ancora realizzata al momento della sua morte, una cappella (31).
Mario Lanzoni scrive che si trattava della stessa ubicazione della futura cappella Bentivoglio, riportando - nel 1605 -che è fatto obbligo alla Sagrestia di San Giacomo di cantare messe per il Fagnani a suddetto altare di Sant’Andrea, poi di san Giovanni Evangelista, detto anche dei signori Bentivoglio della Sega (32).
I rilievi eseguiti dalla Soprintendenza, in previsione dei restauri iniziati nel 1984, hanno messo in luce, nel sottotetto del portico bentivolesco, resti di pilastri della cappella del XIV secolo: il rifacimento quattrocentesco comportò uno spostamento verso l’esterno della parete di fondo, la demolizione di un pilastro che avrebbe alterato le dimensioni del nuovo arcone d’ingresso, e la ricostruzione delle volte a crociera antistanti la cappella (33).

LE SEPOLTURE


Nel 1402, Giovanni I Bentivoglio era stato sepolto in San Giacomo, senza particolari onori, essendo stato sconfitto ed ucciso dalle milizie viscontee (34).

Antongaleazzo, ucciso nel 1435, viene tumulato in San Cristoforo (35): sarà Annibale I ad onorare la memoria del padre con un sepolcro monumentale in San Giacomo, e a predisporre la cappella funeraria. I resti di Antongaleazzo vengono trasferiti in un’arca marmorea, posta nella parete del deambulatorio absidale, in cornu evangelii, di fronte all’ingresso della cappella.
Anna Maria Matteucci ritiene che si possa identificare l’arca come un’opera di Jacopo della Quercia , eseguita per la famiglia Vari di Ferrara prima del 1438, anno della morte del maestro (36).
E’ del 1458 il monumento equestre ad Annibale, ucciso nel 1445. Non abbiamo documenti che attestino la committenza dell’opera, nè la sua collocazione originaria: dopo il 1486, anno in cui inizia la decorazione parietale, Giovanni II lo fà apporre sulla parete sud-orientale della Cappella. Questo, secondo la testimonianza di Cherubino Ghirardacci, che ricorda come il monumento ad Annibale I abbia coperto una tempera del Costa, dedicata agli avi di Giovanni II (37).
Il ritratto equestre rappresenta il Bentivoglio come un condottiero a cavallo: forse, come suggerisce Clifford Brown (38), per ricordare la vittoria a San Giorgio di Piano, il 14 agosto 1443 quando comandò le milizie di Bologna, Firenze e Venezia contro il presidio di Niccolò Piccinino (39).
L’epigrafe sotto il monumento è dedicata al ruolo di Annibale I nella politica interna bolognese (40).
Girolamo Borselli, domenicano bolognese, descrive come il corpo fu deposto nella cappella l’anno stesso della morte (41).
Il Ghirardacci (42) e la lapide marmorea, affissa sul pilastro destro dell’arcone d’accesso alla cappella (43) riportano che il 25 febbraio 1445, di giovedì,la cappella fu “acquistata, stabilita ed ornata con la sepoltura” da Annibale, figlio di Antongaleazzo B.
Nel giugno dello stesso anno Annibale I venne ucciso e sepolto, in abiti da cavaliere, nella cappella, con un’elargizione di 100 ducati d’oro da parte degli Anziani agli eredi, per le esequie (44).

Nel 1460 Sante Bentivoglio inizia la costruzione di un palazzo principesco, posto in strada San Donato, dopo la casa di Carlo Malvezzi, dall’altra parte della strada rispetto a San Giacomo; la direzione dei lavori è affidata a mastro Pagno, fiorentino (45).
Gaspare Nadi ricorda che il 12 marzo inizia lo scavo delle fondazioni, e il 24 aprile 1460 lui stesso pone la prima pietra, durante la cerimonia d’inizio dei lavori di muratura (46).
Il disegno del palazzo viene attribuito a Pagno di Lapo Portigiani da Fiesole, oltre che dal domenicano Borselli, anche da Gaetano Milanesi (47), dal Sighinolfi e dal Supino (48).
Pagno di Lapo, attivo a Bologna tra il 1451 e il 1468, avrebbe potuto sovrintendere anche i lavori per la cappella (49): in questo caso il progetto andrebbe datato tra 1451 e 1468.
L’ipotesi che relaziona il rifacimento della cappella alla costruzione della Casa Grande, e non solo alla ristrutturazione del complesso di San Giacomo e Santa Cecilia, rende auspicabile un’indagine stilistica , per verificare i modelli di riferimento, d’ambito michelozziano e fiorentino (50).
Un’altra ipotesi sposta il rifacimento al decennio 1470-’80, quando venne rinnovata Santa Cecilia, e costruito il portico di San Giacomo.
Tornando agli anni Sessanta, il Borselli riferisce che il corpo di Sante viene dopo un percorso processionale da casa fino in Piazza, cui intervengono esponenti di tutte le Società, temporali e spirituali (51); anche il diario del Nadi concorda, aggiungendo che partecipò tutto il popolo (52).
Cherubino Ghirardacci descrive la pompa del funerale, con cavalli bardati e coperti di seta nera, bandiere e stendardi spiegati, e la famiglia a lutto, vestita in nero.
Per queste esequie vengono fatte molte donazioni di cera e roba per i poveri e i monasteri; deposto il corpo su di un palco, illuminato con otto torce, Sante viene sepolto in terra, nella cappella di famiglia (53).
Le onoranze non vengono citate nelle lapidi, nè nelle disposizioni di Giovanni II, che non cita Sante tra i familiari destinati a giacere nella cappella; sembra quasi avesse fatto trasferire il corpo del tutore, e primo marito di sua moglie Ginevra (54).
Giovanni Gozzadini ipotizzò l’esistenza di una camera funeraria sotto il pavimento maiolicato (55), ed è opinione di Federico Cruciani, studioso agostiniano eremitano, che l’accesso sia stato murato, forse dopo aver tolto le sepolture. Sarebbe utile una verifica, sollevando le mattonelle, quadrate e rettangolari, poste al centro del piano dell’aula. Gaetano Ballardini, nel 1929, osservò che al centro del piano dell’aula, dove forse prima c’era una lapide tombale, si trovavano solo mattoni comuni; e, che a tre dei quattro angoli - eccetto quello a destra entrando - e a metà dei lati, c’erano 7 piastrelle quadrate di 23 centimetri di lato (56): la messa in opera, durante i restauri degli anni 1950-’55 ha cambiato questa disposizione, ponendo al centro 15 piastrelle quadrate, di 23 centimetri, di cui una sola mostra un angolo maiolicato bianco; sul lato destro sono state messe piastrelle rettangolari di cm.23X29, prive di smaltatura.
L’assenza di documenti riguardanti i rapporti tra la famiglia ed il convento di San Giacomo (57) ha reso enigmatica la storia della cappella, dal 1445, anno del patronato acquisito da Annibale (58) al 1486, anno in cui Giovanni II dedica la cappella a Cristo Ottimo Massimo e a San Giovanni Evangelista (59).
Clifford Brown, considerando che è strano che il rifacimento di una cappella si protragga tanto, ipotizza il suo inserimento nei lavori di rinnovamento dell’intero complesso, compreso il tratto di strada San Donato interessato.In effetti, il progetto nel suo insieme comportò la distruzione di due cappelle in cornu evangelii, che occupavano lo spazio destinato a quattro campate del portico; il ridisegno della cappella che, se angolare, sarebbe stata d’intralcio; il rialzo del pavimento, e del soffitto, della chiesetta parrocchiale di Santa Cecilia (60). Collegando tutti questi lavori, in base alla testimonianza del Nadi (61) possiamo considerare il cantiere, aperto prima del 1478, protratto al 1483, quando vengono costruite le volte in Santa Cecilia, e al 1499, quando vengono ricostruiti il coro e la navata di San Giacomo (63). Così, anche i lavori nella cappella avrebbero potuto usufruire dei finanziamenti pubblici, accordati alla fabbrica di San Giacomo dal 1478 al 1500, per la somma di seicento lire all’anno (64).
Durante 43 anni di potere, Giovanni II adibisce la cappella ad uso palatino, investendovi dieci cavalieri.
Il 18 febbraio 1475, ascoltata la messa, vi viene creato cavaliere Ludovico da Castel San Pietro (65); il primo di aprile 1483 Cristoforo degli Ingrati (66); il 20 marzo 1484 Gozzadino Gozzadini (67).
Nel 1486, il 25 aprile, Giovanni II, udita la messa nella cappella di famiglia, crea cavaliere Carlo degli Ingrati, già suo capitano; lo costituisce governatore, inviandolo tre giorni dopo a Napoli, in aiuto alle forze della Lega contro le forze della Chiesa (68). Il 27 dicembre, giorno dedicato a San Giovanni Evangelista, riceve l’investitura Bartolomeo di Giovanni Felicini (69).
Il 27 dicembre 1489 diventa cavaliere Antonio Magnani (70).
Nel 1490, l’8 settembre, festa della nascita di Maria Vergine, Giovanni II ascolta la messa in compagnia di Pandolfo Malatesta e, al termine, crea cavaliere aurato Raimondo Malatesta, donandogli un drappo tessuto d’oro (71); il 27 dicembre Tomaso da Montecalvo (72). L’8 maggio 1491 diventa cavaliere Sebastiano di Bernardino Gozzadini; il 27 dicembre 1499 Francesco Ghisilieri (73).

L’architettura della cappella quattrocentesca, rialzata con un gradino rispetto al deambulatorio, si articola in un’aula e in un presbiterio, cui si accede salendo un altro gradino.
Lo spazio cubico dell’aula è coperto da una cupola ribassata, su tamburo; il raccordo tra la pianta quadrata e la superficie di rotazione è risolto con quattro pennacchi sferici (74). Il funzionamento statico della cupola andrebbe appurato con una ispezione sotto l’affresco che raffigura otto costoloni. Mancano elementi architettonici che facciano pensare alla cupola nervata - illusoriamente simulata in affresco - piuttosto che ad una soluzione a giri di conci.
Ne Il tempio di San Giacomo Maggiore in Bologna (1967), il primo ed il secondo disegno, che mostrano in pianta ed in sezione l’intera chiesa, rappresentano la cupola come se fosse nervata: ma essi riportano anche l’architettura dipinta.
Il quinto disegno, che mostra la zona absidale, definisce la cupola come a giri di conci; in sintonia con quanto pubblicato dal Supino in L’arte nella chiese di Bologna, vol.II, Bologna 1932, pag.260, fig.I, TAV.II.

L’illuminazione naturale era assicurata da otto monofore a tuttto sesto, nel tamburo; di esse, sei sono ora murate.

Sopra al gradino che separa l’aula dal presbiterio, due colonne in marmo rosso di Verona, con capitelli scolpiti in arenaria, poi dorata, sostengono una volta a botte sopra l’altare, e gli archi delle volte a vela che coprono i sacelli laterali.La base delle colonne è una variante dell’ordine dorico: sul plinto sono modellati i due tori, con la scozia centrale, tra i due listelli; negli angoli vengono aggiunte quattro foglie, molto stilizzate.
Il capitello è d’ordine composito, o italico; ordine che riunisce in se le decorazioni dello stile ionico e del corinzio.
Gli elementi corrispondono a quelli teorizzati per la prima volta nel trattato di Leon Battista Alberti(75): il vaso, l’abaco, le foglie ed il fiore vengono tratti dal corinzio; a questi elementi si aggiungono le volute, fin sotto i quattro angoli dell’abaco; la fronte del capitello, altrimenti nuda, viene ornata secondo l’ordine ionico, con anse ripiegate a volute, con gli ovoli come nell’echino e, sotto di essi, le bacche sull’orlo del vaso.
Il fiore, anzichè d’acanto, sembra essere la margherita a otto petali - di cui cinque sporgono dal cavetto sopra gli ovoli, fino a superare l’altezza dell’abaco - che viene ripetuta sulle piastrelle maiolicate del pavimento.
Le proporzioni del capitello sono circa un decimo della misura dell’asse della colonna; il vaso è cinto da un tondino, ed è rivestito da una fila di foglie d’acanto in rilievo, divise ciascuna in cinque diramazioni.

Le notizie sull’uso della cappella chiariscono questa soluzione dello spazio presbiteriale, con i due sacelli aperti e l’altare centrale: era uso infatti, durante le cerimonie d’investitura cavalleresca, separare il religioso celebrante dai rappresentanti dell’Ordine - che stavano nei sacelli laterali - e l’aspirante cavaliere (76).



LE PITTURE


Nel corso dell’ultimo ventennio del XV secolo viene concepita e realizzata la decorazione pittorica, ritenuta, già da Nicolò Burzio, d’importanza primaria per la lettura del monumento architettonico.
Il ciclo viene affidato al ferrarese Lorenzo Costa (77) ed al bolognese Francesco Francia - considerato dall’ambiente bentivolesco il migliore genio cittadino per le arti figurative (78)-.
Il ferrarese lavora al ritratto della famiglia vivente e legittima, agli antenati e, di fronte, ai Trionfi della Fama e della Morte; ai pennacchi con cartigli e racemi su fondo bipartito rosso e blu; ai tondi, al tamburo ed alla cupola.
La Ottani Cavina attribuisce al Costa anche le decorazioni che affiorano sotto il fregio a candelabre dei pilastri d’accesso; e ipotizza che il cilclo principale, compreso la pala d’altare del Francia, sia stato completato entro il 1494 poichè in quell’anno a Giovanni II viene confermato il privilegio di portare l’aquila imperiale -privilegio che il Bentivoglio avrebbe potuto sfruttare anche nella decorazione della cappella (79).
Ma l’imperatore Federico II, creando cavaliere aurato Giovanni II, il 15 luglio 1460, gli aveva già riconosciuto l’ereditarietà del titolo di conte palatino del Sacro Romano Impero. Questo privilegio dava diritto ad inquartare alla Sega l’Aquila imperiale, in campo d’oro (80); Massimiliano, il 19 ottobre 1494, conferma ed amplia i privilegi del 1460, aggiungendo quello di coniare moneta (81).
Di fatto, Giovanni II conia monete bolognesi che recano, sul rovescio, la scritta MAXIMILIANI IMPERATORI MUNUS MCCCCLXXXXIIII; a volte senza anno, con al centro la Sega inquartata all’Aquila (82).

Nella decorazione architettonica, Giovanni II giustappone l’Aquila a simboli di religiosità spirituale, cherubini o vasi antichi da cui escono fiamme: scolpiti su capitelli figurati, alla sommità di colonne come nel portico dello Spedale del Baraccano. Evita d’inquartare Aquila e Sega, cosa che invece fà all’interno del portale d’ingresso alla Loggia della Mercanzia, dove una tarsia del 1494 mostra lo stemma quadripartito accanto allo stemma della Città di Bologna.

Lungo le pareti Sud-Est e Nord-Ovest, nella Cappella, corre una fascia basamentale alta 2 metri, che simula in affresco una tappezzeria damascata, su fondo a strisce rosse, blu e verdi .Al di sopra, la squadratura delle immagini evidenzia vari punti di fuga per le prospettive dipinte. Sulla parete Sud-Est, le colonne corinzie e le volte a crociera convergono sull’iscrizione:
.ME / PATRIAM ET DULCES / CARA CUM CONIUGE / NATOS.
COMENDO PRAECIBUS / VIRGO BEATA / TUIS.
M CCCC L XXX VIII / AUGUSTI.
Laurentius Costa faciebat

Sulla parete opposta i fulcri prospettici sono tre: le personificazioni della Fama e della Morte, ed il pilastro centrale tra le due composizioni.

La prima opera eseguita dal Costa è la tempera su tela, affissa alla parete Sud-Est, con la famiglia in preghiera (83). La tela, come il professor Ottorino Nonfarmale - che la restaurò nel 1955 - mi ha gentilmente confermato, venne montata su di un traverso di legno, in un incavo della parete, dall’origine; con procedimento analogo, il Costa lavorò i Trionfi.
Nel ritratto i figli, in primo piano, si fronteggiano stando in piedi ai lati dell’iscrizione; è opinione del professor Heinrich Pfeiffer, della Pontificia Università Gregoriana di Roma, che il bassorilievo raffigurato al di sopra dell’iscrizione debba ampliarne il senso con una rievocazione delle antiche offerte ai Mani - le anime dei defunti, alle quali i Romani dedicavano il culto familiare -.
Sulle semicolonne dello sfondo si stagliano Bianca, sposata dal 1481 con Nicolò Rangoni di Spilamberto; e Annibale, sposato dal 1487 con Lucrezia D’Este; Camilla, monaca nel convento del Corpus Domini, si affaccia dietro le sorelle, unica con lo sguardo rivolto verso l’alto.A sinistra di Bianca possiamo vedere Eleonora, sposata dal 1486 con Giberto Pio di Carpi; dietro di loro Francesca, col velo perchè rimasta vedova nel 1487, di Galeotto Manfredi di Faenza.Le sorelle minori sono Violante, promessa a Pandolfo Malatesta di Rimini; Laura, promessa a Giovanni Gonzaga; e Isotta, fidanzata a Ottaviano Riario di Forlì.
L’abito serve a caratterizzare il ruolo sociale dei maschi: Ermes, nato nel 1482 e promesso sposo a Jacopa Orsini, è ancora un bambino dal capo scoperto, senza onori; Alessandro, promesso a Ippolita Sforza, indossa invece un copricapo ornato con una palmetta, e stringe uno spadino, essendo stato creato cavaliere nel 1483 da Alfonso Duca di Calabria, durante un soggiorno bolognese (84).
Antongaleazzo veste l’abito di Protonotario Apostolico, mentre al suo fianco Annibale mostra, ricamata sul petto, l’impresa personale che aveva indossata nel 1487, durante le nozze con Lucrezia D’Este:un falcone che esce dal nido, col motto “NUNC MIHI” (85).
Al di sopa di Annibale, sull’asta d’irrigidimento dell’arco, è raffigurata una rondine. Il significato simbolico è augurale: come il piccolo migratore, così possano i discendenti volare liberi, sapendo di trovare un nido dove poter tornare. Il Costa ritrae anche Ginevra e Giovanni con la tecnica del ritratto al naturale, evitando idealizzazioni eroiche (86).
Tutti i rappresentanti della famiglia indossano vesti dette robe, o roboni. Si tratta di indumenti lunghi fino ai piedi, usati nelle cerimonie ufficiali: in tessuto pregiato, broccato, damasco, seta o panno (87).
La vita viene messa in risalto, nei giovani e nella Madonna, stringendola con cinture sottili (88). La cintura è anche un elemento simbolico, riferito alla virtù della castità. Le figlie, ad esclusione della monaca e della vedova, indulgono nell’indossare qualche gioiello, al collo e ricamato sulle cuffie; Ginevra si presenta, nella preghiera, semplice, priva dei suoi gioielli (89).
La costruzione dello spazio per il trono segue uno schema piramidale, ritmato da fasce marcapiano molto sporgenti. I diversi livelli vengono sottolineati come gradi di ascesi spirituale, da elementi consueti nella pittura ferrarese: le sfere di cristallo che sostengono statuine dorate, il fregio a candelabre, i bassorilievi dipinti (90).
Un ripiano, coperto con un tappeto orientale rosso a motivi geometrici bianchi e bordo nero, posa sul basamento che serve anche da inginocchiatoio per gli sposi.
Sopra di esso, la Madonna siede sostenendo con la mano sinistra il Bambino benedicente e, con la destra, un velo che gira intorno alla gamba destra ed alla spalla sinistra di Gesù, tornando nella mano sinistra della Madre.
Il trono è architettonico, con la raffigurazione di antichi cavalieri, fregi, candelabre e due stetuine su sfere di cristallo: una figura femminile dalla parte di Ginevra e delle figlie, ed una maschile dalla parte di Giovanni e dei figli.
La composizione culmina in un tondo con la Circoncisione che testimonia, secondo la legge mosaica, la fedeltà nel patto tra esseri umani e Dio e, in senso cristiano, anticipa in Cristo il Giudice (91).
Due bambini angelici suonano ai lati: quello a detstra del tondo un flauto dolce, mentre guarda in basso alle donne; quello a sinistra una viola da braccio, mentre canta guardando in alto, oltre la chiave dell’arco.

Dietro al trono si legge:
ASPICE NOS.NOS ALMA FOVE.NOS DIVA TUERE

L’architettura, chiusa tra le mezze colonne sui pilastri dietro il trono, continua in volte a crociera aperte sul paesaggio collinare.

Al centro del riquadro, tra la famiglia e l’ingresso, si staglia un ritratto equestre di Annibale I, padre di Giovanni II. La data sul monumento è 1458 e l’iscrizione, in distici elegiaci, ricorda il ruolo politico e militare del defunto. Inspiegato resta il senso dell’acronimo GAKE intrecciato sullo spallaccio destro dell’armatura.
Il Ghirardacci, prima ed unica fonte al riguardo, riferisce di un affresco con gli antenati, guastato per apporre il monumento tra 1486 e 1490, anno in cui il Costa conclude il ciclo dei Trionfi (92).

Tre pilastri sostengono gli archi che definiscono il campo dell’intervento pittorico, sulla parete di fronte ai ritratti. Mentre la precedente architettura dipinta riprendeva l’ordine corinzio delle colonne marmoree, e dilatava i limiti fisici della cappella, questi archi su pilastri sono un diaframma solido, oltre al quale appaiono immagini letterarie: il Trionfo della Fama di fronte agli avi, il Trionfo della Morte di fronte alla famiglia vivente..
Le letture “per frammenti” del Venturoli e di Iole Massa si rivolgono esclusivamente ad alcuni particolari ispirati alla Divina Commedia (93).
La Ottani Cavina - al seguito del Varese - propende per un’assunzione de I Trionfi direttamente dall’antichità classica, in quanto l’omonima opera pretarchesca avrebbe avuto scarsa rinomanza alla fine del XV secolo (94).
Clifford Brown, notato il silenzio in cui ricade la lettura del programma iconografico bentivolesco, rimarca la presenza di Dante e Virgilio davanti all’Inferno e al Purgatorio, in posizione centrale; e individua una linea di ricerca nella combinazione del tema petrarchesco de I Trionfi, con riferimenti alla Divina Commedia, ed al De Casibus Virorum Illustrium del Boccaccio (95).
Ritengo utile analizzare le due opere avviando una lettura complessiva.
Eludere la prova porta a scindere la lettura petrarchesca da quella dantesca, e confondere l’umanesimo cristiano con “...indefiniti segni religiosi e mistici...”
(A.Bacchi, Vicende della pittura nell’età di Giovanni II Bentivoglio, in AA.VV., Bentivolorum magnificentia, Roma 1984, pp.318, 319).
Gli autori citati riconoscono la concordanza tra le opere figurative bentivolesche e quelle letterarie (96): tacciono il fatto che, mentre le edizioni a stampa delle opere di Cicerono e di Cesare sono state catalogate (97), un lavoro analogo per l’esegesi del Petrarca è lontano dall’essere terminato.
Avviciniamo la molteplice mediazione umanista, che filtrò i temi dell’antichità biblica e classica, riferendoci ad una trascrizione de I Trionfi di Petrarca, commentata da Bernardo Glicinio Lapini, senese (98). L’opera venne edita a stampa il 27 aprile 1475, in una stamperia a Bologna. Una copia, con note al margine in scrittura quattrocentesca (99), appartenne alla famiglia Magnani, partecipe dell’ambiente bentivolesco ed universitario (100).
L’opera esaminata è di pregio, e a non vasta diffusione, data la ricchezza della decorazione miniata nell’intestazione e nelle iniziali (101).
La dedica è a Borso D’Este, ricordato come comandante di Modena (102).
Il testo de I Trionfi col commento del Lapini verrà riedito nell’aprile del 1490 a Venezia, seguito da sonetti e canzoni petrarchesche, commentate da francesco Filelfo e Girolamo Squarciafico (103).

Il Petrarca sceglie, per scrivere I Trionfi, la terzina dantesca: con questo manifesta di volersi confrontare col Sommo Poeta, per proporre una diversa coscienza storica, politica, e filosofica.
Sostituisce, infatti, alla lettura scolastica quella agostiniana e platonica (104): anche il rapporto della tradizione bolognese, nella seconda metà del Quattrocento, con questi diversi approcci, è tema di ricerche e verifiche letterarie.

L’interpretazione figurativa schematizza, nel primo Trionfo, personaggi e figure retoriche ricorrenti nei Trionfi della Fama, dell’Amore e della Pudicizia. Nella seconda opera ricorrono simboli della Morte e del Tempo.
La Fama, bella donna detta “bianca” nella versione del Lapini (105), fronteggia il monumento equestre di Annibale I; La morte fronteggia la famiglia dei vivi, nella sembianza di una donna in veste nera, in atto di ammonire:

“IO HO CONDOTTO AL FIN LA GENTE GRECA / E LA TROIANA, A
L’ULTIMO I ROMANI, / CON LA MIA SPADA LA QUAL PUNGE E SECA,
/ E POPOLI ALTRI BARBARESCHI E STRANI; / E GIUGNENDO
QUAND’ALTRI NON M’ASPETTA, / HO INTERROTTO MILLE PENSIER
VANI.” (Trionfi, III, 40-45)

La Morte sul bue di sinistra indica quattro donne, isolate davanti al carro trionfale; a loro si rivolge la Morte con la falce, mentre la terza Morte indica la scena.
Le donne sono Laura e le compagne virtuose:
“ERA LA LOR VITTORIOSA INSEGNA / IN CAMPO VERDE UN
CANDIDO ERMELLINO, / CH’ORO FINO E TOPAZI AL COLLO TEGNA”
(Trionfi, III, 15-21)

Il Petrarca elenca, sia ne La Fama che ne La Morte, illustri Romani, Troiani, Siriani, Cartaginesi, Tebani, Macedoni, Numidi, Cretesi, Spagnoli ed Ebrei, fino al mondo cavalleresco: “molte cose in picciol fascio stringo: / ov’è un re Arturo, e tre Cesari Augusti, / un d’Affrica, un di Spagna, un Lottoringo?”
(Trionfi, II, 133-135)
Così, nelle opere figurative del Costa, vengono scelti personaggi d’ambo i sessi e d’ogni età, in abiti orientali, all’antica, nudi, con armature quattrocentesce e con paramenti ecclesiastici; vari personaggi indossano i colori bentivoleschi rosso e blu.
Il professor Nonfarmale pensa che i prossimi restauri permetteranno di evidenziare iniziali, utili per identificare alcuni ritratti, ora non leggibili.

E’ possibile che nei dipinti vengano raffigurate anche le qualità tramandate, le virtù?
In primo piano, sotto a La Fama, compare una vedova che potrebbe essere Tomiri, oppure Giuditta. Entrambe sono citate dal Petrarca: Tomiri ne Il Trionfo della Pudicizia (104-105), e ne Il Trionfo della Morte (94-95); Giuditta compare ne Il Trionfo dell’Amore (52-57), della Pudicizia (142) e della Fama (119).
Entrambe vengono celebrate per la castità e la forza, virtù esaltate anche nella produzione letteraria bentivolesca, come in “Gynevera de le clare donne” di Sabatino degli Arienti (106), ed in pitture come “Giuditta ed Oloferne” del Costa per la Casa Grande in strà San Donato (107).

Personaggio sicuramente allegorico è il vecchio con la gruccia, a sinistra del carro della Morte: derivazione classica, è una personificazione di Crono-Saturno, il Tempo, altrove possessore di falce (108).

Nella pianura, dietro la Fama, Virgilio accompagna Dante verso la Porta dell’Inferno, sormontata dall’epigrafe:

LASATE OGNE SPERANZA,
VOI CH’INTRATE.


All’orizzonte Bologna turrita è in fiamme, tra appennini brulli; da Porta Galliera passa il canale navigabile, qui visto come il Lete, solcato dalla barca di Caronte, il demonio dagli occhi di brace citato anche in Dante.

Il paesaggio, ne Il Trionfo della Morte, si apre in una luminosa pianura che sfuma nel cielo.
In secondo piano, simmetrico all’ingresso dell’Inferno, Virgilio cammina con Dante verso la Porta del Purgatorio:

“-Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
ch’è, se potuto aveste veder tutto,
mesier non era parturir Maria;
e disiar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch’etternalmente è dato lor per lutto:
io dico d’Aristotele e di Plato
e di molt’altri-”
(Purgatorio, III, 34-44)


L’illustrazione di questo episodio della Divina Commedia può spiegare l’assenza, nel ciclo bentivolesco, dei filosofi antichi, ai quali è dedicato l’ultimo canto petrarchesco della Fama.
La riflessione sul rapporto tra la ricerca filosofica e la fede religiosa torna nella rappresentazione di San Girolamo e Sant’Agostino nel presbiterio; la scelta sarà sempre in favore della lettura della Sacre Scritture.
E’ interessante chiederci quali motivazioni hanno indotto a mediare il tema religioso con riferimenti storici e letterari e, tra essi, adottare quelli inerenti alla vita politica e militare. La persona di Giovanni II e l’uso palatino, oltre che funerario, della cappella, ci forniscono la chiave interpretativa.

Il Lapini, commentando Petrarca, ipotizza che l’aver anteposto i militari e i politici ai filosofi significhi attribuire loro maggiori meriti; ed il suo ragionare spiega quali motivi possono aver portato ad escludere gli studiosi dalla cappella:
“L’arte militare - scrive l’umanista - ripugna alla natura umana; mentre le lettere, comportando la contemplazione di enti astratti, portano alla felicità attraverso la liberazione dell’essere umano dal dominio della Fortuna.
Cicerone antepone la sapienza all’amicizia, e questa a tutti gli altri valori; scrive poi che la filosofia è dono ed invenzione divina.
Aristotele, Averroè e Boezio annoverano gli studi letterari tra quelli degni di onore.
Ma noi confesseremo, quantunque troppo obbligati ai filosofi, che, per fama, le armi superano le lettere.
Averroè nel De Natura dimostra che la disciplina militare è la più lodevole perchè opera per il bene pubblico ed universale, mentre le scienze ricercano il bene privato.
Aristotele, nel secondo libro della Politica, ricorda come indispensabili allo Stato i militari, non gli uomini speculativi.
Ed anche Platone, nella Repubblica annovera solo uomini di legge e d’armi.
Poichè infatti entrambe le discipline del comando esigono l’uso della Prudenza, virtù morale su cui si fonda la volontà giusta, entrambe sono beni dell’animo, nobili quanto le scienze.
La Prudenza viene esercitata in cinque forme:singolare, familiare, politica, reggitiva e militare. Tutte le discipline che portano ad affinarla ed usarla sono utili, per elevare lo spirito sopra i casi fortuiti. Quindi, la Prudenza militare è strategica, evita guerre ingiuste, non corrompe la benevolenza umana e viene superata, nel vivere civile, solo dalla Prudenza politica.
La superiorità dell’autorità cristiana sui filosofi pagani non ha, per il Lapini, bisogno di dimostrazioni: gli è sufficiente citare l’autorità del De Civitate Dei di Agostino, nel commento del terzo canto petrarchesco.

Nel dipinto del Costa, al di sopra al Carro Trionfale della Fama vengono raffigurati episodi della storia greca e romana, accompagnati da cartigli ora molto rovinati, che spiegano i soggetti:Ciro grazia il re Creso, condannato al rogo; al passaggio di cinque cavalieri romani crolla un ponte; Alessandro viene salvato dal fedele medico Filippo; i Romani, vinti dai Sanniti, passano sotto le forche caudine; Filippo di Macedonia viene ucciso a tradimento; Milone, presumendo troppo dalla propria forza, resta con la mano imprigionata nella quercia che voleva abbattere, divenendo facile preda delle belve; Cesare rincuora un barcaiolo timoroso della tempesta; Ventidio Basso, per merito personale, sale ai vertici della Repubblica, e viene onorato sul carro trionfale romano.
Al centro, Dio crea Adamo ed Eva: i quali, peccando, provocano la condanna alla fatica ed ala violenza; come si legge a metà del Trionfo letterario:
“Poi stendendo la vista quant’io basto, / Colui vidi oltra il qual occhio non varca, /
la cui inobedienza ha il mondo guasto”
(Francesco Petrarca, Fama, II, 76-79)

Al di sopra del Trionfo della Morte una serie di ovali, definiti da voli angelici che si avvicinano con illusione prospettica, spiegano il Piano di Salvezza, e svolge il tema del Giudizio Particolare che l’anima deve affrontare subito dopo la morte corporale.
I tre bambini alati, subito al di sopra della falce, indicano nella Morte un punto di partenza, mentre gli occhi rivolti in alto indicano la tensione spirituale e il gesto della mano l’azione come strumento d’elevazione.
Gli strumenti divini sono simboleggiati dalla Tromba del Giudizio, posta tra la Colonna della Flagellazione e la Croce.
In alto, nel fulcro della prospettiva, l’anima è in presenza del Cristo Giudice, di Dio Padre, e della Beata Vergine Avvocata alla difesa.
I Dodici Apostoli circondano l’assise, poichè anche loro sono giudicanti:
“In verità vi dico: quanto legherete sulla terra sarà legato in Cielo; e quanto scioglierete sulla terra sarà sciolto in Cielo.
Vi dico ancora: se due di voi si accorderanno sulla terra per chiedere qualsiasi cosa, sarà loro concessa dal Padre mio che è nei Cieli.”
(Matteo, Vangelo, 18,19)
Cristo indica al defunto di rivolgersi alla Beata Vergine che, Sola, può intercedere di fronte alla Corte di Giustizia, sorvolata dalla Colomba dello Spirito Santo.
Tornando ad osservare il dipinto dedicato al Trionfo della Morte, il personaggio all’estremo angolo destro è un antico musico orientale, seduto su un rialzo del terreno, preceduto da pietre angolari: circondato da rappresentanti dell’umanità, simboleggia le attività intellettuali volte ad elevare lo spirito (108).
Nei Trionfi bentivoleschi, come sempre nelle pitture religiose, il fine è ricordare il destino umano: l’autorità di autori come Virgilio, Dante, Petrarca serve per rendere leggibili i termini del grande dialogo tra l’essere umano e il divenire nella storia.

La parete dell’aula si apre nell’arco centrale coperto a botte, e nelle volte a vela dei sacelli laterali. Tra gli archi e l’alta cornice marcapiano Felice Cignani (1660-1724) affrescò una Annunciazione clasicista, rimasta un episodio isolato dopo i restauri degli Anni Cinquanta, che eliminarono le decorazioni secentesche dei pennacchi e dei costoloni (109).

Un’iscrizione dedicatoria di Giovanni II scandisce il passaggio tra lo spazio cubico e i raccordi d’imposta del tamburo e della cupola, correndo lungo la cornice su tre lati della cappella: in essa il Bentivoglio, condottiero Sforza-D’Aragona, dedica l’opera a Cristo Ottimo Massimo, e a San Giovenni Evangelista, il 6 giugno 1486 (110).

Nel lunettone sopra il ritratto di famiglia, sei Apostoli stanno ai lati dell’occhio affrescato con la Vergine e il Bambino.
Sulla parete di fronte, gli altri sei Apostoli stanno ai lati di un occhio che lascia entrare la luce naturale, dall'esterno.

Il lunettone centrale, del Costa, illustra il Giudizio contro Babilonia, una delle visioni profetiche dell’Apocalisse che, riferita al Giudizio Universale, raffigura nella Babilonia idealizzata la Roma imperiale, persecutrice dei cristiani, cui si rivolgeva San Giovanni (111).

I pennacchi portano tondi affrescati in campo rosso e blu, colori bentivoleschi e bolognesi: un Santo con un libro aperto, probabilmente San Giovanni Evangelista, e Giovanni II, stanno nei tondi ai lati della visione apocalittica; due illusorie vetrate sono dipinte nei tondi ai lati dell’arcone d’ingresso.

Un’altra cornice ritma il passaggio al tamburo, che si apre nelle otto luci a tutto sesto; delle quali, ora, sei sono murate.

La cupola in corrispondenza delle aperture è affrescata col motivo azzurro e oro della coda del pavone, simbolo della Resurrezione cristiana.

L’occhio centrale, chiuso e senza cornici architettoniche, venne privato - negli anni 1950-’55 di una testa, dipinta nel XVII secolo; ora quello spazio serve come base d’attacco per tre lampadine che illuminano la cappella.

Nel presbiterio una piccola lastra di marmo rosso di Verona, cm.21X21, chiude il reliquiario sull’altare, che è fisso, in marmo bianco lucidato; mancano notizie riguardo la data della sua ubicazione, forse deducibile dal contenuto del reliquiario.

La Pala sopra l’altare è nell’abside dal 1494 (112): l’effetto prospettico fa percepire il dipinto su tavola come quadrato, mentre è un rettangolo verticale, di cm.300X294.
L’autore, Francesco Francia, ascrive la commissione a Giovanni II su di una iscrizione nel basamento del trono, i cui gradini servono come sedili per due angeli in atto di cantare, mentre suonano una lira da braccio e un liuto.
Come nel trionfo della Morte la figura del musico, così in quest’opera gli angeli musicanti esaltano le arti quali strumenti d’elevazione spirituale.
I committenti inoltre, erano noti protettori sia di artisti figurativi, che di letterati e cultori di musica. Famoso è il ritratto di alcuni Bentivoglio intenti a cantare in coro, ora conservato a Londra (National Gallery, n.2486, Lorenzo Costa, “A Concert”).
La Madonna sostiene con la mano destra il Bambino benedicente: entrambi appoggiano la mano libera sul libro della Sapienza, aperto (113).
La piccola architettura del trono raffigura in alto, a destra, la Madonna con Giuseppe durante la fuga in Egitto; ma le immagini sono troppo sfumate per identificare i Santi dipinti dietro al Trono, ed i soggetti dei bassorilievi sui dadi dei capitelli compositi.
A sinistra del trono stanno in piedi San Giovanni Apostolo col calice eucaristico e San Sebastiano, ferito dalle frecce romane.
A destra, Sant’Agostino e San Floriano.
La cornice, scolpita e dorata, riporta i mezzi per elevare l’anima: dagli strumenti musicali al calice con l’Ostia consacrata.
Corona l’abside un Cristo Risorto affrescato; opera anonima, forse destinato ad essere coperto con il tondo su tavola datato 1505, ora conservato nella Pinacoteca Nazionale di Bologna (114).

Altri quattro affreschi ornano le pareti dei due sacelli, partendo da un’altezza di m.1,82 rispetto al piano del presbiterio, cioè dalla stessa altezza dei dipinti nell’aula, sopra al basamento affrescato.
Sulla parete Nord-Ovest San Giorgio è raffigurato in abiti quattrocenteschi,armato di sola lancia e difeso da uno scudo crociato rosso in campo bianco, mentre uccide il drago davanti alla fanciulla ed al borgo da salvare.
Proseguendo, ai lati della Pala sono rappresentati San Girolamo penitente, con la pietra usata nel deserto per battersi; Sant’Agostino, col piviale ed il pastorale in mano, mentre legge le Sacre Scritture. E’ opinione del professor Pfeiffer che un accurato restauro potrebbe rimettere in luce un bambino che cerca di riempire con un secchiello d’acqua un buco scavato nella sabbia: questa scenetta, svoltasi davanti a Sant’Agostino intento nella meditazione, gli avrebbe ricordato la vanità delle ricerche umane.
Sulle parete Sud-Est è rappresentato San Francesco mentre riceve le Stigmate.
Tra queste opere, che la Ottani Cavina attribuisce a Cesare Tamaroccio prima del 1505; per il San Giorgio viene proposta la scuola del Francia (115).



IL PAVIMENTO


Al professor Gaetano Ballardini (116) va il merito dell’attribuzione del pavimento della Cappella Bentivoglio alla bottega di Andrea della Robbia (117).
La datazione risale a Luigi Frati, che la colloca dopo il 1486, anno della dedicazione di Giovanni II (118).
Gualberto Gennari, nel 1957, scrisse un articolo a conferma delle tesi del Ballardini, aggiungendo descrizioni ed immagini di piastrelle, ritrovate nei ripostigli di San Giacomo, la maggioranza delle quali sono poi andate perdute (119).

Il rivestimento del pavimento dell’aula è in piastrelle esagonali, di lato cm.14 (4,42 once bolognesi=4,80 soldi fiorentini); quasi tutte hanno perso la smaltatura, usurata dal calpestio.
Motivo ricorrente su queste piastrelle esagonali, smaltate su fondo bianco, è un fiore, composto da una raggera interna di otto petali bianchi, e da una raggera esterna di otto grandi petali verdi, alternati ad altri otto, lanceolati; il pistillo è color giallo zafferano.
Sui lati sono accoppiate foglie d’acanto; negli angoli si alternano foglie di quercia a foglie più arrotondate, poste al centro di ogni coppia di foglie d’acanto.
Il contorno di ciascun esagono si compone con gli adiacenti, formando una decorazione fitomorfa continua.
L’attribuzione del Ballardini alla bottega robbiana si fonda sull’analogia tra il motivo di queste piastrelle con quelle nella nicchia della chiesa di San Domenico, ad Arezzo; con le maioliche per la Fraternita di Santa Maria del Latte in Montevarchi; e con le piastrelle pavimentali già nella Cappella di San Lorenzo della Colleggiata di Empoli (120).

Intorno a questa composizione di piastrelle esagonali, girano piastrelle rettangolari di cm.23X29 (7,26 X 9,16 oncie bolognesi=7,88 X 9,94 soldi fiorentini); sul fondo bianco è smaltato un campo azzurro, sul quale si staglano giragli col fiore bentivolesco a cinque petali, uguale a quello che compare in alcune bugne del palazzo del Podestà in Piazza Maggiore, ed al centro delle volute dei capitelli compositi nel portico di San Giacomo. Al centro delle piastrelle rettangolari, dai giragli sale un fiore d’acanto; al margine si ripete il fiore a cinque petali, unito a due foglie e mezza che, avvicinate alle adiacenti, formano una cornice continua (121).

Entrando, nell’angolo sinistro del giro esterno, una piastrella quadrata raffigura canne allacciate in un fascio, con un cartiglio ora sbiancato: la composizione è racchiusa in un cerchio inscritto nel quadrato della piastrella, con tre foglie e bottone centrale negli angoli di risulta.
L’impresa delle canne allacciate col motto “UNITAS FORTIOR” compariva, alternata a quella delle canne disgiunte col motto “DIVISIO FRAGILIS”, entro losanghe affrescate, nel Palazzo Bentivoglio di Ponte Poledrano, prima dei restauri del Rubbiani, nel 1889 (122).

Saliamo al presbiterio: sotto la vela a sinistra dell’altare, un altro giro di piastrelle rettangolari (smaltato con un graticcio in turchino e manganese, con margherita centrale) corre intorno ad altre piastrelle esagonali, col fiore a tre ordini di otto petali.
Negli angoli, piastrelle quadrate ripetono una variante del fiore grande.
Al centro del piccolo pavimento, alcune piastrelle sono decorate con lo stemma bipartito della Sega bentivolesca col Biscione visconteo, entro una ghirlanda verde che gira in senso orario.
Il Gennari mostra (TAV.LIX-b) alcuni frammenti di un altro stemma matrimoniale, analogo al precedente, con la Sega bipartita alla Onde sforzesche.
Nel pavimento attuale, ricomposto nel periodo 1950-’55 mancano i frammenti ritrovati nel 1957 dal Gennari e dal Reverendo Padre Federico Cruciani, ma ve ne sono altri che, se pur rimessi in opera in mdo confuso, permettono di ricostruire graficamente lo stemma spezzato.
Due matrimoni motivano queste composizioni: quello di Annibale I, padre di Giovanni II, con Donnina Visconti; e quello di Giovanni II con Ginevra Sforza.
Anche a Ponte Poledrano, proprietà della famiglia dal XIV secolo, ricorrevano gli stemmi con la Sega ed il Biscione (123), mentre Sega e Onde compaiono, inquartate, nei capitelli del portico del Baraccano, opera promossa da Giovanni II nell’ultimo decennio del XV secolo. Anche nell’inventario dei beni rivendicati da Ercole, figlio delle prime nozze di Ginevra con Sante, compaiono suppellettili ornate con le armi bentivolesche unite alle sforzesche (124).
Il Ballardini, nel 1929, descrisse altre piastrelle quadrate, analoghe a quella con le canne unite, specificando che si trovavano nei tre angoli dell’aula, escluso quello a destra entrando, e a metà dei lati; e che solo quattro mostravano ancora disegni araldici (125).
Il Gennari pubblicò quattro fotografie e una descrizione accurata dei soggetti, che risultano uguali a quelli descritti dal Ballardini e dal Rubbiani (126).
Le imprese perdute risultano essere:
- un felino tra le fiamme, col motto “per amor tuo tuto ben voglio soferire”
- una piantina di fiordaliso illuminata dal sole, e il motto “sic mens est animus”
- una corda annodata in cerchio con nastri svolazzanti
Pur considerando il degrado degli ultimi trent’anni sembra inspiegabile la totale assenza di queste decorazioni; mancano inoltre le tre piastrelle che avrebbero dovuto trovarsi nei rimanenti angoli dell’aula.

nota bene si placet


Un ringraziamento particolare a Padre Federico Cruciani, che mi ha permesso di fare il rilievo dei frammenti da lui ritrovati col Gennari nel 1957: in questo modo, mi è stato possibile ricomporre, almeno graficamente, la ghirlanda che girava in senso antiorario e racchiudeva lo stemma matrimoniale di Giovanni e Ginevra.



LE ISCRIZIONI


Sulla trabeazione del cancello in ferro battuto, che separa la cappella dal deambulatorio absidale:

IO----- II.BEN------- DIVO IOANNI AC BEATISS---- VIRGINI MATRI
DICAVIT ANNO 1404.HYPP------ MARCHIO BEN------- EIUSDEM VERUS
SUCCESSOR ORNAVIT ET DECORAVIT ANNO DOMINI 1676

Giovanni II Bentivoglio dedicò nel 1404 a San Giovanni ed alla Beatissima Vergine Madre. Il marchese Ippolito Bentivoglio suo legittimo discendente provvide ai lavori ed alle decorazioni nell’anno del Signore 1676

Su di una fascia di metallo di cm-500 X 8 (oncie bolognesi 158 X 2,5) l’iscrizione è dipinta in nero su fondo dorato. Caratteri capitali su una sola linea. Lettere alte cm.4,5 (o.bo.1,42).La data deve intendersi 1494, divenuta 1404 per un ritocco sbagliato nella seconda metà del XIX secolo. (G.C.Roversi, Iscrizioni medievali bolognesi, Bologna 1982,pag.315)

Sul pilastro di sinistra all’ingresso della cappella:

HOCCE IAMDIU A IOANNE II BENTIVOLO / PATRIE PRINCIPE
CONSTRUCTU SACEL / LUM VALDE A VETUSTATE COLLISUM / AD
PRISTINA ORNAMENTORUM VENU / STATEM HYPPOLITUS
MARCHIO BEN / TIVOLUS PATRITIUS VENETUS NOBILIS /
FERRARIENSIS ET BONONIENSIS E SUP / RADICTO SUI STIPITIS
HEROE RECTA / DESCENDENS DEVOTIONIS ERGO RED / UCTU ERE
PROPRIO VOLUIT ANNO / A XTI NATIVITATE M D C L X X V I

Questa cappella, un tempo edificata da Giovanni II Bentivoglio, primo cittadino in patria, molto rovinata per la vecchiezza, Ippolito, marchese Bentivoglio, patrizio veneto, nobile ferrarese e bolognese, nonchè diretto discendente della stirpe di quel celebre personaggio, volle ripristinare l’originaria bellezza decorativa, per devozione, nell’anno 1676 dalla nascita di Cristo

Iscrizione commemorativa su lastra di marmo di cm.75 X 55 (o.bo.24 X 17); specchio velato da una leggera doratura.

Sul pilastro di sinistra all’ingresso della cappella:

DOM / SACELLUM HOC / AB ANTIQUE BENTIVOLAE GENTIS
MAIORIBUS / SUMPTU MAGNO CONDITUM / ET TEMPORUM
INIURIA INDE DEFORMATUM / CAROLUS GUIDO BENTIVOLUS
FERRARIENSIS / EX RECTA LINEA PROGNATUS / UT TAM INSIGNE
PIETATIS MONUMENTUM / IN AEVUM FUTURUM SERVETUR / AERE
SUO PEPARARI CURAVIT / ANNO AB INNOCUO VIRGINIS PARTU /
M D C C C V I I I

Carlo Guido Bentivoglio di Ferrara, discendente diretto, curò nel 1808 il restauro di questa cappella, costruita con grande prodigalità dagli antenati dell’antica stirpe dei Bentivoglio, e sfigurata dai danni del tempo; in modo che si conservasse nel futuro un’opera devozionale tanto importante

Su lastra di marmo di cm.82 X 30, iscrizione commemorativa con lettere incise e dorate, su fondo nero.
Carlo Guido Bentivoglio fu creato ciambellano nel 1803 dall’imperatore Napoleone; divenne cavaliere dell’ordine della Corona di Ferro nel 1806; e conte del Regno d’Italia nel 1809.L’imperatore Francesco I d’Austria confermò alla famiglia il patriziato veneto nel 1817; e, nel 1818, il titolo di marchesi.
(P.Litta, I Bentivoglio di Ferrara, in Famiglie celebri italiane, Milano 1819, Vol.I, Tav.VII)

Sul pilastro di destra all’ingresso della cappella:

QUESTA.CAPELLA.E.DELA.MA / G----CHA.E..GENEROSA.CASA.DI.BEN /
TIVOGLI.ACQ-ISTATA.E STABILI / TA.E ORNATA.CON LA SEPPUL /
TURA.P-- LO.MA----CO.ANIBAL / E.FIGL-UOLO. DEL MAG----CO.E /
GENEROSO.MISERE.ANTO / NIO.GALEAZ--.DI BENTIVOGLI.I-LA /
NI.M.CCCC.XLV.DI XXV. DE FEBRARO

Questa cappella è della magnifica e generosa Casa dei Bentivoglio. Acquistata, consolidata e ornata con il monumento sepolcrale per volontà del magnifico Annibale figliuolo del magnifico e generoso messere Antonio Galeazzo Bentivoglio il 25 febbraio 1445

Su lastra di marmo di cm.75 X 54 (o.bo.24 X 17); iscrizione commemorativa su nove linee, in caratteri capitali, con reminiscenze del canone scrittorio gotico. Lettere alte cm.3,2 (o.bo.1); interpunzione con punti tirangolari. Lo specchio è velato da una leggera doratura. Al contorno la cornice a dentelli è tinteggiata alternativamente in rosso e blu. L’iscrizione attesta l’acquisizione della cappella pochi mesi prima della celebrazione delle esequie di Annibale I (C.Ghirardacci, op.cit.,vol.III, pp.106,107)

Sul pilastro di destra dell’arcone d’accesso, entro la formella con l’effige di Giovanni II:

IOANNES.BENTIVOLUS.II / ANTONIUS:BAL------.AGENS.XVIII / 1497

Giovanni Bentivoglio II.esecutore Antonio Balatino XVIII.1497
Bassorilievo in marmo di cm.29,5 X 41 (o.bo.9,31 X 12,95); la fascia con l’iscrizione è alta cm.1,5 (o.bo.0,47) in caratteri capitali. La data è nell’angolo inferiore destro. Lettere alte cm.1 con punti distinguenti rotondi.
E’ possibile che la firma ricordi un offerente, poichè i Balatini erano bentivoleschi (C.Ghirardacci, op.cit., vol.III, pag:417) ed avevano ottenuto case confiscate ai Malvezzi, dopo il 1488 (G.Guidicini, Cose notabili della Città di Bologna, Bologna 1868-1873, vol.I, pp.175-177)

Nella cornice tra le pareti e i lunettoni:

N.K.L.CHRISTO OPTIMO MAX--- DIVOQ-- IOAN-I EVVA-GELISTE OB
DEVOTIONEM IOANNES BE-TIVOLUS:SECUDUS:
SFORTIA:VICECOMES DE ARAGONIA HOC OPUS DICAVIT.ANNO
GRATIAE MCCCCLXXXVI.DIE VI.IUNII

N.K.L.Giovanni II Bentivoglio,condottiero Sforza D’Aragona,dedicò quest’opera, per devozione, a Cristo Ottimo Massimo e a San Giovanni Evangelista il 6 giugno 1486

Iscrizione a tempera su muro, dipinta in oro su fondo azzurro, lungo i tre lati dell’aula, per una lunghezza complessiva di cm.2215 (o.bo.700).
Lettere in caratteri capitali rinascimentali, su una sola linea; interpunzione con punti a forma di edere distinguente (hedera distinguens).
Mancano interpretazioni attendibili del criptogramma N.K.L..

Sulla base del trono della Vergine, nella tempera affissa alla parete di destra guardando il presbiterio:

.ME
PATRIAM ET DULCES
CARA CUM CONIUGE
NATOS.
COMENDO PRECIBUS
VIRGO BEATA
TUIS.
MCCCCLXXXVIII
AUGUSTI
Laurentius Costa faciebat


O Vergine Beata, affido alla Tua intercessione me stesso, la patria e i figli affettuosi, con l’amata consorte.Agosto 1488.Lorenzo Costa eseguiva l’opera

Iscrizione a tempera su tela, dipinta in nero su fondo grigio, entro una cartella mistilinea di cm.37 X 54 (o.bo.12 X 17).
Lettere in caratteri capitali, su dieci linee, a due altezze: NATOS=cm.3,5 (o.bo.1,10) e COSTA=cm.2 (o.bo.0,63). Punti distinguenti a forma di hedera distinguens.

Sulla parete di destra, sotto al ritratto equestre di Annibale:

MCCCCLVIII
QUO NEMO UTILIOR PATRIE NEC PACE NEC ARMIS
BENTIVOLE GENTIS HANIBAL HIC SITUS EST
EXPULIT IS DUDUM POSSESSA EX URBE TIRANUM
ET PROFUGOS CIVES RESTITUIT PATRIAE
A QUIBUS INGRATE SCELERATA MORTE PEREMPTUS
SED MERITUM SUMPSIT TANTI AFFINIS QUICUNQ FUISET
HIC FERRO AUT FLAMA PREMIA DIGNA TULIT


1458.Qui riposa Annibale Bentivoglio, insuperato nei meriti verso la patria, sia in pace che in battaglia. Scacciò l’usurpatore dalla città, e restituì alla patria i concittadini esuli; i quali, irriconoscenti, lo uccisero a tradimento. Ma la fazione trasse merito dal sacrificio: infatti, chiunque fosse implicato in simile delitto ottenne, col ferro o col fuoco, il giusto riconoscimento.

Lapide marmorea di cm.93 X 36 (o.bo.30 X 11) con iscrizione onoraria in distici elegiaci, su otto linee. Lettere in caratteri capitali umanistici, con alcune minuscole (q,d). La data è incisa nel piedistallo, ed è alta cm.4,5 (o.bo.1,42).
Lo specchio è velato da una leggera doratura.
Il ricordo delle opere e della morte di AnnibaleI, con i conseguenti tumulti, si ricollega alla veduta di Bologna infernale, sulla parete di fronte, nel Trionfo della Fama.

Ancora sulla parete di destra, sotto il ritratto della famiglia 1)
ai lati del monumento ad Annibale 2) e 3):

1) ---D--- SA--AM;ORDINA-.ET.DEUS.DIS---IT
---D---SA--AM propone e Dio dispone

2) QUIDQUID TRISTARIS / --AT -- ES DESUPER
più sei triste --AT-- sei al di sopra

3) DESPICE ET HUMILIABERIS
disdegna e sarai umiliato

Iscrizioni a tempera, in parte su tela in parte su muro, in nero su fondo chiaro.

Lettere con varie altezze: DEUS=cm.6,5 (o.bo.2), QUID=cm.4 (o.bo.1,2) DESPICE=cm.4,5 (o.bo.1,4); punti distinguenti triangolari. Tinte molto deteriorate.

Sulla parete di fronte, a sinistra entrando, ai lati dei Trionfi:

M CCCC LXXXX / ZU-NO / -------IUS CO--- FACIEBAT
giugno 1490 autore Lorenzo Costa

Iscrizione a tempera su tela, in nero su fondo chiaro.
Lettere in caratteri capitali, su tre linee, alte cm.4,5 (o.bo.1,4).Tinta deteriorata.

Sulla parte di sinistra, entro il tondo al di sopra del carro della Fama:

FELIX.ANTE.OBITUM.NEMO.EST.EN.RESPICE.CRESU
In confronto a Creso, nessuno è fortunato prima dell’esecuzione

---ITUR.AUGUSTUS.CASNE.PONTISQ--.RUINA
Augusto avanza in modo insensato, e crolla il ponte

OCCUMBIT.CESUS.MEDIA.INTER.FESTA.PHILIPPUS
Filippo cade, ucciso durante solenni celebrazioni

CONSCENDIT.CIMBAM.CESAR.RAPITURQ--.PROCELLA
Cesare s’imbarca sulla navicella e viene trascinato dalla tempesta

VENTIDIUM.EX HUMILI.TOLLIT.FORTUNA.FOVETQ--
La Fortuna eleva e sostiene Ventidio dalle umili origini

IM-ODICE.VIRES.LETU.PEPERERE.MILONI
Le forze, usate senza senno, portano la morte a Milone

CAUDINAS.DECORAT.ROMANA,INFAMIA.FURCAS
Il disonore romano orna le forche caudine

SERVAT.ALEXANDRUM.VIRTUSQ--.FIDESQ--.PHILIPPI
Il valore e la fedeltà di Filippo salvano Alessandro

Leggendo dal centro, in senso orario: Ciro grazia Creso, già condannato al rogo; al passaggio di cinque cavalieri romani crolla un ponte; Filippo di Macedonia viene ucciso in una congiura di palazzo;Cesare nella tempesta; Ventidio Basso raggiunge i vertici del governo; Milone resta preda delle belve, avendo usato male la sua forza per spaccare il tronco di una quercia; I romani, vinti dai sanniti, devono passare sotto le forche caudine; la fedeltà del medico Filippo salva Alessandro.
Le iscrizioni sono dipinte in nero, a tempera, su cartigli a fondo chiaro.

Nella pala d’altare, sul primo gradino del trono dove siede la Beata Vergine col Bambino:

IOHANNI.BENTIVOLO
.II.FRANCIA.AURIFEX.
.PINXIT.
Francia, orefice, dipinse per Giovanni II Bentivoglio


Iscrizione su tavola lignea, dipinta a olio in nero su fondo grigio, entro una cartella di cm.41 X 95 (o.bo.13 X 30).
Lettere in caratteri capitali, alte cm.1,8 (o.bo.0,57) con punti distinguenti triangolari.



NOTE


  1. G.Fasoli, Bologna nell’età medievale (1115-1506), in AA.VV., Storia di Bologna, Bologna 1978, pp.153,154
  2. A.I.Pini, I Libri Matricularum societatum bononiensium e il loro riordinamento archivistico, in “Quaderni dell’Archivio di Stato di Bologna”, vol.XV, Bologna 1967, pp.14-16
  3. Liber sive matricula notariorum Communis Bononiae, (1219-1299), (ed.R.Ferrara e V.Valentini), Roma 1980, pag.599
  4. Liber sive matricula notariorum Communis Bononiae, (1219-1299), pp.I, VI-VIII
  5. A.S.Bo, fondo Capitano del Popolo, Libri Matricularum delle Società della Arti e delle Armi, anno 1294, busta 2, matricula notariorum, fogli XLI verso, XLII recto
  6. A.S.Bo, fondo Capitano del Popolo, Libri Matricularum, anno 1294, busta 2, matricula becharium, foglio CCLXXVI recto
  7. A.S.Bo, fondo Capitano del Popolo, Libri Matricularum, anno 1294, busta 2, foglio CCLXXV verso (Nicolò B.), foglio CCLXXVI verso (Cimino, Albertinello, Bentivoglio e Michele)
  8. P.Litta, op.cit., vol.I, tav.II
  9. A.S.Fe, fondo Bentivoglio D’Aragona, Catasto Croce, carte 73-75, testamento di Antoniolo Bentivoglio, 23 ottobre 1374
  10. G.Fasoli, op.cit., pag.184
  11. P.Litta, op.cit., vol.I, tav.III
  12. Le feste per le nozze tra Annibale e Donnina hanno carattere ufficiale:
    coinvolgono l’oligarchia bolognese, il presidio visconteo, e la cittadinanza.
    P.Litta, op.cit., vol.I, tav.III.
    C.M.Ady, op.cit., pag.33
  13. La data è scolpita su una lapide, sul pilastro di destra all’ingresso della Cappella.
    Il diritto di patronato trae origine dal privilegio di nominare il sacerdote officiante, e si acquisiva in periodo feudale, costruendo oratori o cappelle.
    P.Fedele, Nuovo Digesto Italiano, Roma 1939, vol.IX, pp.588-595, s.v.
    AA.VV.Nuovissimo Digesto Italiano, Torino 1965, vol.VII, pp.698-706, sub voce
  14. La Cappella era ubicata in modo da avere una parete in comune con la chiesa parrocchiale di Santa Cecilia, unita al complesso agostiniano il 7 marzo 1323.
    S.L.Astengo, Gli agostiniani in Bologna e il tempio di San Giacomo, Bologna 1923, pp.68-70
  15. G.Fasoli, I Bentivoglio, Firenze 1936, pag.186
  16. P.Litta, op.cit., vol.II, tav.III; G.Vasari, Le vite dè più eccellenti Pittori, Scultori ed Architettori, Firenze 1568 (ed.Milanesi, Fi.1878, vol.VIII, I Ragionamento, II Giornata, pag.97)
  17. L.Pastor, Storie dei Papi, Trento 1890, vol.I, pp.270 e seguenti
  18. L’unica edizione consultabile dei Capitoli è la trascrizione secentesca di Vincenzo Sacchi, docente di diritto canonico allo Studio bolognese, e del figlio, dottore in entrambi i diritti.Loro chiave interpretativa fu il desiderio senatorio di fondare su precedenti storici le rivendicazioni del Senato, per farsi riconoscere una maggiore autonomia nei confronti del Legato Pontificio.
    G.Orlandelli, Considerazioni sui Capitoli di Niccolò V coi bolognesi, in “Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei”, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filosofiche, CCC.XL., 1949, Serie VIII, vol.IV, pp.454-473
  19. Di fatto, i Capitoli di Niccolò V fondarono l’unico governo misto nello Stato della Chiesa.P.Litta, op.cit., vol.I,tav.V; C.M.Ady, op.cit., pp.56-58
  20. C.M.Ady, op.cit., pp.126-130, 133, 177, 270
  21. I frati di San Giacomo subirono un periodo di scomunica per aver celebrato le nozze sfarzose, trasgredendo l’editto suntuario del Cardinal Bessarione, Legato Pontificio: ma, dopo poco tempo, egli stesso li assolverà.
    A.Sorbelli, I Bentivoglio, San Casciano 1969, pag.59
  22. C.M.Ady, op.cit, pp.60,61
  23. La ratifica della transazione redatta il 16 marzo 1485, ma risalente al 1475, a conclusione delle rivendicazioni di Ercole contro Giovanni II, è utile per stabilire il patrimonio familiare, e la datazione relativa. F.Bocchi, op.cit., pag.111
  24. Acquistate e demolite sedici case, il 12 dicembre 1460, dopo una messa cantata in San Giacomo Maggiore, sante avvia lo scavo delle fondazioni. L.Signinolfi, op.cit., pp.13-17
  25. C.M.Ady, op.cit., pp.86-100, 131
  26. A.S.Fe, fondo Bentivoglio D’Aragona, tomo II, busta 20, inserto 19, Testamento di Giovanni II Bentivoglio, Bologna 17.12.1501. Si tratta di tre documenti cartacei, copie semplici del tempo: sulla sepoltura cifr.doc.b, carta 13 recto e verso L’Ercole qui citato è il presunto padre di Sante: morto nel 1424, aveva combattuto al fianco del fratello Antongaleazzo. P.Litta, op.cit., vol.I, tav.IV Per una trascrizione del testamento del 1501 e di un codicillo del 1506: F.Pellegrini, Due atti testamentari di Giovanni II Bentivoglio, Bologna, 17.XII,1501 e 4.II.1506, in “Atti e memorie della Regia Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna”, Serie III, vol.XI. pp. 303 e segg.
  27. A.S.Bo, fondo Comune e Governo, Serie cronologica sciolta, busta 2, n.179 (originale), Bulla Iulii papae secundi edita contra Iohannem Bentivolum in civitatem Bononiensi libertatem ecclesiasticam occupantem, 1.I.1506; A.S.Bo, Serie Bullae et Facultates, Registro II, 1492-1515, fogli 62-64 (copia semplice)
  28. Su Ginevra: C.M.Ady, op.cit., pp.260-262.
    Il giorno del decesso di Giovanni II è fissato il 13 febbraio 1508 da F Pellegrini, op.cit., pag.306; il 16 febbraio 1508 dall’Ady (pag.262)
  29. A.S.Fe, fondo Bentivoglio D’Aragona, libro 23, inserto 22, brevi di Leono X per reintegrare i Bentivoglio nei loro possedimenti bolognesi, e Lettere latine del Bembo: da parte di Leone X ad Annibale II Bentivoglio e al Duca di Ferrara.
  30. A.S.Fe, fondo Bentivoglio D’Aragona, tomo II, pag.279 recto; busta 73, inserto 73 verso, Memoria di alcune lettere del 1599
  31. A.S.Bo, filza degli atti del notaio Giovanni di Bonifacio Castagnoli, 12.X.1399, Testamento di Andrea di Bertolino Fagnani; citato da D.Lenzi, Regesto, in AA.VV., Il tempio di San Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1967, pag.231.Tra le cappelle consacrate nel 1344 dal vescovo di Novara in San Giacomo, ne compare già una dedicata a San Giovanni.
    A.S.Bo, fondo San Giacomo, 122/1728, II, carte 57 verso, 58 recto; testo trascritto da D.Lenzi, op.cit., pag.223
  32. B.U.Bo, Ms.3877, carta 39 recto, M.Lanzoni, Oblighi de la Sagrestia e del Convento dè RR.PP. di S.Giacomo di Bologna, Bologna 1605
  33. G.Piconi Aprato, L’architettura della chiesa di San Giacomo, in AA.VV., Il tempio di San Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1967, pag.55
  34. P.Litta,op.cit., tav.III
    Girolamo Borselli, Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatis Bononiae, ed A.Sorbelli, in Re Italicarum Scriptores, Città di Castello 1926, vol.XXIII, parte II, pp.68,69, nel 1401 anzichè 1402.
  35. C.Brown, The church of Santa Cecilia and the Bentivoglio Chapel in S. Giacomo Maggiore in Bologna, in “Mitteilungen des Kunsthistorisches Institutes in Florenz”, vol.XIII, 1968, pag.306
    C.Ricci e G.Zucchini, Guida di Bologna, Bologna 1930, (ed.A.Emiliani, Bo 1968, pp.23,213
  36. A.M.Matteucci, Le sculture, in Il tempio di San Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1967, pp.74-76
    V.Davia,Cenni istorico-artistici intorno al monumento di Antonio Galeazzo Bentivoglio esistente nella chiesa di San Giacomo di Bologna, Bologna 1835 I.B.Supino, op.cit., Bologna 1910, pp.80, 81, docc.58, 73,76
  37. C.Ghirardacci, op.cit., vol.III, Bologna 1827, pag.243
  38. C.M.Brown, op.cit., pp.307,308
  39. Il Piccinino, condottiero di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, teneva il presidio di Bologna dal 1435; ma dal 1441 il Visconti, timoroso del potere che il suo comandante stava conquistando, gli preferì Francesco Sforza, che sbaraglierà il Piccinino a Monteloro, l’8 novembre 1443, in favore di Annibale I Bentivoglio. C.Santoro, Gli Sforza, Varese 1968, pp.18,19
  40. v.Iscrizioni
  41. Girolamo Borselli, Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatis Bononiae ab urbe condita ad annum 1497, con la continuazione di Spargiati per gli anni 1498-1584, ed.A.Sorbelli, in Rerum Italicarum Scriptores, Città di Castello 1912-1919, tomo XXII, parte II, pag.87
  42. C.Ghirardacci, op.cit., vol.III, Bologna 1827, pag.100
  43. v.Iscrizioni
  44. C.Ghirardacci, op.cit., vol.III, Bologna 1827, pp.106-107
  45. ”Anno Domini 1460 Dominus Xantes Bentivolus in strata sancti Donati ultra Sanctum Jacobum et domum Caroli de Malvetiis palatium regale incipit, magistro Pagno fiorentino”G.Borselli, op.cit., tomo XXII, parteII, pag.95
  46. ”Rechordo del palazo di bentivogli chome adì 12 de marzo 1460 se chomenzò a chavare li fundamenti per fare al dito palazo e adì 24 d’aprile 1460 se comenzò a murare e yo guasparo mise la prima pedra e fo in su soto el chantone sota el portego verso la chassa pichola de i diti bentivogli” G.Nadi, op.cit., pp.53,54
    Gaspare Nadi era stato ammesso alla compagnia dei muratori di Prato l’8 novembre 1450, con rogito del notaio Lupo; il 7 novembre 1456 viene ascritto all’Arte del muro di Bologna, con rogito del notaio Francesco Bentivoglio.
    G.Nadi, op.cit., pp.28-38
  47. G.Milanesi, in G.Vasari, op.cit., Firenze 1878,vol.II, pag.444 nota I
  48. L.Sighinolfi, op.cit., Bologna 1909, pag.31
    I.B. Supino, La scultura in Bologna nel sec.XV,Bologna 1910, pag.90
  49. A.Ottani Cavina, op.cit., pag.118
  50. G.Vasari, op.cit., Firenze 1568, ed.G.Milanesi, Fi 1878, vol.II, pp.444,445
  51. ”Anno Domini 1462 Dominus Xantes de Bentivolis, primus inter sedecim civitatem regentes, mortuus est et sepultus in ecclesia sancti Jacobi fratrum heremitarum.Omnes societates temporales, et spirituales fuerunt in funere suo.
    Circumductum est cadaver eius per Bononiam, etiam usque in plateam, antequam humo traderetur” g.Borselli, op.cit., pag.96
  52. ”Rechordo de la morte de messer santo de bentivoli chome adì 1 de otovere 1463 pasò de questa pressente vita e andòli tuto el povelo de bologna a fargie honore e fese uno grandissimo honore portose el dito corpo insino in piaza intorno la piaza e tornono a san Jachomo e lì sepelino a grande honore e foglie tute le chieressie de questa tera” G.Nadi, op.cit., pp.53, 54
  53. C.Ghirardacci, op.cit., vol.III, pag.180
  54. A.S.Fe, fondo Bentivoglio D’Aragona, tomo II, busta 20, inserto19, Testamento di Giovanni II Bentivoglio, Bologna 17.XII.1501, doc.b, carta 13 recto e verso
  55. G.Gozzadini, Memorie per la vita di Giovanni II Bentivoglio, Bologna 1839, pag.78 nota I
  56. G.Ballardini, Uno sconosciuto pavimento robbiano a Bologna, in “Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna” Serie IV, vol.XIX, fasc.IV-VI, luglio-dicembre 1929, pp.199,200
  57. A.Ottani Cavina, op.cit., pp.117,129 nota 7
  58. v.Iscrizioni
  59. v.Iscrizioni
  60. C.Brown, op.cit., pag.313
  61. G.Nadi, op.cit., pp.85,86
  62. G.Nadi, op.cit., pag.98
  63. I.B.Supino, L’arte nelle chiese di Bologna, vol.II, Bologna 1938, pp.299,300
    A.Raule, S.Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1955, pp.11-13
  64. B.U.Bo, Ms.770, vol.IX, senza anno, Antonio Francesco Ghiselli, Memorie antiche manoscritte in Bologna, foglio 19 numerato
  65. C.Ghirardacci, op.cit., pag.215
  66.   “     “    pag.226
  67. C.Ghirardacci, op.cit., pag.232
  68.   “     “    pag.233
    C.M.Ady, op.cit., pag.99


69-73.   C.Ghirardacci, op.cit., pp.235,255, 257, 258,263, 298


  1. Riguardo la perfezione del cubo in architettura basti la descrizione della Gerusalemme celeste: “LA CITTA’ E’ UN QUADRATO...E LA LUNGHEZZA E LA LARGHEZZA COME PURE LA SUA ALTEZZA SONO UGUALI” Giovanni, Apocalisse, 21,16, La Sacra Bibbia, ed. Paoline, Roma 1968, pp.1386,1387
    La soluzione del raccordo con pennacchi sferici si ottiene, geometricamente, sezionando una volta a vela con un piano orizzontale tangente alla chiave d’imposta: è il solo modo per ottenere un cerchio sul quale impostare il tamburo o il bacino circolare.
    G.Cataldi, Sistemi statici in architettura, Padova 1979, pp.117-119
  2. L.B.Alberti, L’architettura, ed.R.Bonelli e P.Portoghesi, Milano 1966, vol.I, tomo II, pp.584-586
  3. Riguardo i modi secondo cui lo scudiero riceveva l’investitura cavalleresca, e le permanenze in area europea: R.Lullo, Il libro dell’Ordine della Cavalleria, circa 1275,trad.it.G.Allegra, Carmagnola 1983, pp.121-141, 184-188
    Di solito l’Ordine viene rappresentato dall’Investitore e dal Maestro di Cerimonia. In araldica, il titolo di Cavaliere segue quello di Nobile.
    In AA.VV.,Dizionario Enciclopedico Italiano,Roma 1970, vol.III, pp.30,31
  4. op.cit.: G.Ghirardacci, pag.238; G.Vasari, vol.III, pag.135
    A.Venturi, Lorenzo Costa, in “Archivio storico dell’Arte”, 1 a.1888, pp.241-256
    A.Ottani Cavina, op.cit., Bologna 1967, pp.120-131
    P.Venturoli, Lorenzo Costa, in “Storia dell’Arte”, 1-2, 1969, pp.161-168
    P.Grandi Tosetti, Lorenzo Costa in San Giacomo Maggiore a Bologna, in “Prospettiva” n.24, 1981, pp.37-40
  5. N.Burzio, op.cit., sez.b
    G.Vasari, op.cit., vol.III, pag.537
    C.C.Malvasia, Vite dè Pittori bolognesi, Bologna 1678, ed.E.Brascaglia, Bologna 1971, pag.82
    M.Baxandall, E. Gombrich, Beroaldus on Francia, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, Londra 1962, pp.113-115
  6. A.Ottani Cavina, op.cit., pag.126
  7. P.Lamo, Graticola di Bologna, Bologna 1560, pp.35,36
    Ai Bentivoglio il diritto viene riconfermato il 19 ottobre 1494 da Massimiliano I; e, nel 1569, da Massimiliano II.
    P.Litta, op.cit., Milano 1819, vol.I, tav.V
  8. C.M.Ady, op.cit., pag.133
  9. P.Litta, op.cit., tav IV; gli esemplari inquartati con la Sega e l’Aquila sono ora al Museo Civico Medievale di Bologna
  10. A.Bacchi, Vicende della pittura nell’età di Giovanni II Bentivoglio, in AA.VV., Bentivolorum Magnificentia, ed.V.Basile, Roma 1984, pp.316-319
  11. Il contratto di fidanzamento tra Isotta Bentivoglio e Ottaviano Riario, stipulato nell’agosto 1488, cadrà, a causa della decisione di Isotta di raggiungere nel Convento del Corpus Domini la sorella Camilla, nel 1496.
    C.M.Ady, op.cit., pp.190-192
    P.Litta, op.cit., Milano 1819, vol.I, tav:V
  12. C.Giordani, Narrazione de le nozze di Annibale II Bentivoglio celebrate l’anno 1487, in “Almanacco Statistico Bolognese”, anno VIII, Bologna 1837, pp.113-140
    G.Zannoni, Una rappresentazione allegorica nel 1487, in “Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei”, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filosofiche, vol.VII, Serie IV, Roma 1891, pp.414-427
  13. G.Vasari, op.cit., vol.III, pp.134,135
  14. R.Levi Pisetzsky, Storia del costume in Italia, Milano 1964, vol.III, pp.342-347; vol.II, pp.77, 78, 378
  15. La cintura era utile per appendere i guanti, lo spadino e la borsa; era in tessuto prezioso, per completare l’abbigliamento elegante. Nell’inventario dei Bentivoglio fatto dopo la morte di Sante ne compaiono diverse; e, una veste su sette, è descritta in foggia borgognona. F.Bocchi, op.cit., pp.102-104
  16. F.Bocchi, op.cit., pag.105; doc.I, pag.129
  17. A.Bacchi, op.cit., Roma 1984, pag.318
  18. Ringrazio il professor Heinrich Pfeiffer per la dotta guida iconologica di questo soggetto: è suo il merito d’aver individuato la relazione esistente tra questa Circoncisione, il Cristo Giudice nel Giudizio Particolare dell’anima subito dopo la morte corporale, e il Giudizio contro Babilonia nel lunettone settentrionale.
  19. C.Ghirardacci, op.cit., vol.III, Bologna 1827, pp.106, 243
  20. P.Venturoli, op.cit., pp.161-168
    I.Massa, Ricordi danteschi nelle tele del Costa in San Giacomo Maggiore di Bologna, in “La Mercanzia”, febbraio 1970, pp.139-142
  21. R.Varese, Lorenzo Costa, Milano 1967, pag.20
    A.Ottani Cavina, op.cit., pp.123, 124, 130, nota 22
  22. C.Brown, op.cit., pag.306, nota 15
  23. Sull’umanesimo cristiano bolognese: E.Raimondi, Quattrocento bolognese: università e umanesimo, in “Politica e Commedia”, Bologna 1972, pp.45-47
  24. Vedi Quadri di riferimento nelle edizioni della Biblioteca Universale Rizzoli 1983-1984
  25. Su Bernardo Glicino, o Illicino Lapini:
    G.K.Hall, Dictionary of italian humanists, Boston 1962, vol.I, pag.538; vol.II, pag.177
    V.Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933, pag.191
  26. La dottoressa Anna Maria Scardovi, bibliotecaria nella sezione manoscritti della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, ritiene che la calligrafia delle note sia quattrocentesca.
  27. Dal XIV secolo la famiglia Magnani fece costruire e conservare cappelle ed altari in San Giacomo Maggiore. D.Lenzi, op.cit., pp.223, 244, 247
    Nel 1489 Giovanni II creò cavaliere Antonio Magnani.
    Andrea Magnani, detto il Magnanimo, magistrato degli Anziani nel 1498, studioso di greco e di latino, fu amico di Antongaleazzo Bentivoglio, dell’umanista Codro Urceo e del poeta Casio. Dedicò a Giovanni II la sua traduzione del testamento di Ciro Re di Persia, tratto da Senofonte; l’opera verrà stampata a Venezia, nel 1520.
    G.Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna 1782, tomo II, pp.115-117 sub voce Magnani Andrea
    Nicolò Burzio, Bononia Illustrata, sez.b, lo ricorda tra i letterati illustri
  28. F.Petrarca, I Trionfi, Bologna 1475, Biblioteca Comunale di Bologna, coll.16.O.II.I Ex Biblioteca Magnani
  29. Borso (1416-1471), figlio naturale di Niccolò D’Este e di Stella Dei Tolomei, aveva fatto miniare negli annni 1455-’62 una Bibbia, capolavoro dell’arte amanuense, che portò con sè a Roma, l’anno della morte.La dedica da parte dell’umanista senese a Borso era forse dovuta alla sosta, nel 1471, di Borso a Siena.La nuova opera a stampa mantiene la dedica a Borso - all’epoca della stampa morto da 4 anni - e molte sono le corrispondenze tra l’unicum miniato e l’edizione stampata.
    Sulla Bibbia di Borso: S.S.Ludovici, La miniatura rinascimentale, Milano 1966, pp.84-87
  30. F.Petrarca, I Trionfi, Sonetti e Canzoni, Piero Veronese, Venezia 1490, B.C. Bo, coll.16.H.IV.2
  31. F.Petrarca, I Trionfi, Ed.G.Bezzola, Milano 1984, Introduzione, pag.10
  32. L’attributo “bianca” per la Fama compare nella versione bolognese del 1475, affiancata da note dell’epoca, scritte in corsivo ai margini.
  33. G.S.degli Arienti, Gynevera de le clare donne, Bologna 1483, ed.C.Ricci e A.Bacchi della Lega, Bologna 1887
  34. G.Vasari, op.cit., vol.III, pp.538, 539
  35. “Harmonia est discordia concors” scriveva il Gaffurio, sostenitore della polifonia musicale a Milano, prima della caduta sforzesca del 1499.
    F.Gaffurio, Theoricum opus harmonicae disciplinae e Practicae Musicae, Milano 1496; registrazione dall’intervento di J.Onians, “Raffaello tra architettura e musica”, Accademia dei Lincei, Roma, 18 aprile 1984
    L’attività intellettuale è confrontabile nella matematica e nelle arti: tra queste, quelle figurative sono più universali di quelle musicali, in quanto la vista è più sviluppata dell’udito. L.Pacioli, Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proportionalità, Venezia 1494, anastatica Milano 1978
  36. A.Ottani Cavina, op.cit., Bologna 1967, pp.127, 128
    I restauri secenteschi vennero commissionati da Ippolito Bentivoglio dal 1676, anno ricordato sul cancello d’ingresso alla cappella, come d’inizio per il suo patronato. C.Brown, op.cit., pag.309 nota 4
  37. Vedi Iscrizioni pag.78
  38. Il libro dell’Apocalisse, o Rivelazione, è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento. Si esprime sotto forma di visioni scritte, di difficile interpretazione a causa del costante uso di figure e numeri allegorici. Il libro fu scritto dall’Apostolo Giovanni durante l’esilio sull’isola di Patmos, nel 95 dopo Cristo.
    La donna del Giudizio contro Babilonia personifica Roma.
    La Sacra Bibbia, ed.Paoline, Roma 1968, pag.1383
  39. A.Ottani Cavina, op.cit., Bologna 1967, pag.126; accreditata da A.Bacchi, op.cit., Roma 1984, pag.323
  40. Il libro della Sapienza, dell’Antico Testamento, tenuto in mano dalla Madonna, fu il più usato trattato di morale pratica in uso dai primi secoli del cristianesimo, per educare i catecumeni.
    Ben Sira, l’autore, scrisse in ebraico; un suo nipote tradusse e commentò in greco, per gli ebrei di Alessandria; San Girolamo conobbe l’originale in ebraico.
    Una certezza permea il libro: la fiducia nel costante intervento divino in favore dei fedeli. La Sacra Bibbia, Roma 1968, pp.781-818
  41. Riguardo la tradizione, secondo la quale il tondo su tavola avrebbe dovuto coronare la Pala : A.Guadagnini, La Reale Pinacoteca di Bologna, Bologna 1899, pag.73
  42. A.Ottani Cavina, op.cit., Bologna 1967, pp.125, 126, 130 nota 23
  43. A.Ottani Cavina, op.cit., pp. 130, 131 nota 29
  44. G.Ballardini, op.cit., pag.201
  45. L.Frati, Osservazioni critiche sul libro del sig.Molinier “Les maioliques italiennes en Italie”, e segnatamente sull’articolo concernente Bologna, in “Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna”, a.a.1882-’83, vol.I, pp.285-286
  46. G.Gennari, Il pavimento robbiano della cappella Bentivoglio di Bologna, in “Faenza”, bollettino del museo delle ceramiche, anno XLII-1957, n.6. Tavv.LVIII, LIX
  47. G.Ballardini, op.cit., figg.2,3,4
  48. Il Ballardini e il Gennari descrissero erroneamente queste piastrelle come smaltate in bianco e dipinte a palmette turchine. G.Ballardini, op.cit., pag 200 G.Gennari, op.cit., pag.127
  49. A.Rubbiani, Il castello di Giovanni II Bentivoglio a Ponte Poledrano, Bologna 1914, pp.35-40
  50. A.Rubbiani, ibidem
  51. Nell’inventario dei beni risalenti al primo matrimonio di Ginevra Sforza, con Sante Bentivoglio, compare l’unione delle Armi:
    “sex saline ex argento cum pedibus, habentes arma seghe et sforcesche... duodecim forcine argentee cum dicti proximis armis”
    A.S.Fe, fondo Bentivoglio D’Aragona, Libro 12, inserto 42, Ratifica della transazione del 1475, redatta il 16 marzo 1485; trascrizione letterale in F.Bocchi, op.cit., pag.129
    Giovanni Sabadino degli Arienti descrive un affresco sotto la loggia al secondo piano, nella villa di Belpoggio: “è fuori pincto un fiero Ercole, che in una mano tiene superbamente un tronco et ne l’altra uno scudo cum l’arma Bentivoglia et divisa Sforzesca”. G.S. delli Arienti, op.cit., pp.380, 381
  52. G.Ballardini, op.cit., ibidem
  53. G.Gennari, op.cit., pag.128
    A.Rubbiani, op.cit., Bologna 1914, pp.39, 45



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